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Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo – La cappella della Natività nella chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia a Milano (Pc4)

Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo – La cappella della Natività nella chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia a Milano

Ad accogliere il visitatore all’ingresso della cappella della Natività posizionata al termine della navata di destra, vi sono Otto figure di putti distribuiti per tutto il sottarco. Gli otto dipinti a fresco sono delimitati da sottili cornici lisce colore oro. La presenza di cornici, che fanno sembrare delle pitture ad olio tradizionale, è una soluzione scelta per tutti gli affreschi della cappella.

Guglielmo che ha nella rappresentazione dei putti la specialità di bottega, sembra ancora una volta divertirsi nella dipintura. In particolare il primo e l’ultimo dialogano sornioni direttamente con chi li guarda.

Il primo di sinistra fa cenno di stare in silenzio, mentre non nasconde un leggero sorriso. Il cartiglio in basso con la scritta “in silenzio”, tramuta il gesto in un dialogo evidente. L’ultimo invece, che poi è il primo di destra, ha le manine giunte in preghiera ed uno sguardo leggermente di traverso come in un motto di rimprovero. Invita a salutare Dio con la preghiera. Il cartiglio sottostante riporta la scritta “salutare Dei”, descrive l’intero del putto. Gli altri sei putti in tutto il sottarco, rivelano l’infinito repertorio con cui il pittore può dipingere tale soggetto, tratto dai numerosi cartoni in possesso della bottega.

Varcato l’ingresso, sulla parete di sinistra compare una grande scena affrescata con la Donazione dei Magi. Il soggetto ricorda la pala presente a Moncalvo nella chiesa di San Francesco, eseguita probabilmente negli anni introno al 1604. In questo caso, visto il grande spazio disponibile, i personaggi sono distribuiti con maggiore agio. Il dipinto circonda la porta di ingresso del presbiterio e si distingue per la luminosità diffusa e per l’equilibrio cromatico, come anche tutte le scene presenti nella cappella. Le figure a cominciare dai cavalli e dai servitori dei re Magi, che sono intenti a spacchettare i doni ed a porgerli ai loro signori, si sviluppano in orizzontale con un movimento che si focalizza al centro rispecchiando l’andamento concavo della rappresentazione. Sembra regnare una calma  devozionale assoluta, in cui i gesti dei protagonisti sono lenti e misurati.

Sfuggono al taglio principale i due personaggi in basso. A sinistra un bambino appoggiato alla rupe ed a destra una donna riccamente abbigliata.

Sembrano indicare come il loro destino di figlio e madre, sia diverso non essendo stati chiamati direttamente da Dio, e quindi di conseguenza la doppia natura terrena e santa della Vergine e del Bambino. Concetto che si sviluppa meglio nel ciclo della sagrestia con la Vergine Regina della Terra e del Cielo.

Il particolare del servitore che allaccia il calzare al re di colore è presente in entrambi i dipinti ed è un puntuale riferimento alla cappella della Donazione dei Magi del santuario di Varallo, dipinta da Gaudenzio Ferrari.

In alto un nugolo di putti osservano le vicende serene sbucando dallo squarcio delle nuvole, mentre in lontananza un paesaggio lontano con delle mura turrite, si distingue appena nella foschia.

Appena più in alto si trova la Chiamata ai pastori. L’angelo in volo scuote i due uomini addormentati ed un cagnolino vigile tra i due, appare come l’unico a non sorprendersi per l’apparizione.

Il pastore di destra indica con il dito se stesso incredulo, mentre l’altro è ancora addormentato. La scena si compone in un raffinato equilibrio in cui le figure non sono affatto statiche, ma rivelano l’improvviso subbuglio.

Sulla volta del catino viene rappresentato il Circolo degli Angeli Musicanti, intorno allo squarcio del cielo divino, presidiato ancora una volta da schiere di putti volanti. Nonostante il recente restauro il dipinto risulta il meno leggibile dell’intero complesso. Il tempo e l’umidità hanno compromesso i colori ed i contorni delle figure.

Nel vele del catino sono rappresentate quattro Sibille, mentre ai lati della Chiamata ai pastori, compaiono due figure, certamente di Profeti.

Verso destra sopra alla porta che conduce alla sagrestia appare un affresco anch’esso delimitato da una cornice oro, con la Madonna che affida il Bambino a San Francesco e padre Leone dormiente. La scena è presente con qualche variazione in una tela passata di recente in collezione privata a Genova. Il Caccia come nei suoi modi, dipinge la Vergine con la veste rosa e la tunica di colore blu petrolio, mentre sulle spalle ha un mantello colore verde acqua. Sul grembo si può distinguere un lenzuolo bianco, il quale fino a pochi istanti prima aveva ospitato il Bambino.

Riuscitissima la figura di San Francesco che appare sorpreso ed emozionato. Onorato per il privilegio e preoccupato per la fragilità della creatura che tiene tra le braccia. Come un giovane padre alla prima esperienza.

Singolare brano verista sono i piedi del santo che compaiono in bella mostra proprio in faccia allo spettatore. Frate Leone è appisolato retto dal bastone, accanto alla roccia. Tre putti infine si confondono in altro tra le nuvole. Anche in questo caso la scena non appare leggibile al meglio, con evidenti problemi dovuti all’umidità.

Dalla parte opposta sopra alla porta che conduce alla cappella dell’Assunta, si assiste alla scena del Martirio di Santa Barbara, sempre contornato da una cornice oro. L’affresco gioca nei toni chiari e vede la santa rivolgersi al cielo pochi attimi prima del martirio. Due putti sbucano dalle nuvole reggendo uno la palma del martirio e l’altro la corona d’alloro. Singolare è il personaggio che compare sullo sfondo tra la santa ed il suo carnefice. Si tratta di un contadino che trasporta un grosso fardello, forse un covone di paglia. Nella tradizione agiografica è colui che  rivela al padre Dioscuro, dove si nasconde la figlia. L’uomo nonostante tenta la fuga verrà incenerito da un fulmine. La torre che si nota sullo sfondo ha tre finestre he simboleggiano la trilogia cristiana. La santa infatti viene sacrificata dal padre per non avere rinunciato al sacramento del battesimo cristiano.

Sulla parete di destra ai lati delle finestre sono rappresentati due santi vescovi. Il primo è San Dionigi, ricordato per la traslazione miracolosa della sua testa dopo la decapitazione. Da Mont-Martre, monte del martire, fino alla basilica di Saint Denis.

L’altro è Sant’Ambrogio, vescovo e patrono di Milano, che è il protagonista anche dei due brani monocromi, sullo stesso muro, che riportano brani della sua vita.

Nel primo Ambrogio a cavallo brandisce il flagello che un suo simbolo iconografico, riconducibile alla strenua lotta contro le eresie ariane, che professano l’inesistenza dei dogmi della trinità e della santità del Cristo.

L’altro episodio descrive il funerale del santo, oggi sepolto nella omonima basilica, tra le spoglie dei martiri Gervasio e Protasio, rinvenute da Ambrogio a Milano.

Il primo dei due riquadri non appare realizzato di mano dal Caccia, proprio per la rigidità e la spigolosi del disegno, che lo avvicina a suggestioni pseudo gotiche. Il secondo invece potrebbe accordarsi al suo stile, soprattutto in considerazione dell’aspetto monocromatico.

Nell’arco di raccordo tra le due porte sono rappresentati tre magnifici medaglia dipinti, probabilmente gli episodi di maggiore fascino di tutta la cappella. Ulteriori decorazioni riempiono gli spazzi tutt’intorno.

Nel primo medaglione, verso la sagrestia, compare un angelo che suona il liuto in compagnia di due putti. La grazia, il patetismo che viene espresso abbinati alla vivacità della tavolozza ed alla qualità della soluzione formale con la testa dell’angelo piegata verso l’alto, costituiscono un piccolo capolavoro. Nell’ultimo un altro angelo suona il flauto sempre in allegra compagnia di due putti. Nel medaglione centrale invece, l’angelo si limita a ballare seguendo le note della musica espressa dagli altri due, mentre regge con la mano sinistra quella che sembra una palma, attorniato da un insieme scatenato di putti danzanti.

Come si può osservare tutta la cappella è stata affrescata da Guglielmo Caccia. La pala della Natività,  posizionata sull’altare è invece eseguita da Camillo Procaccini, che è descritta nel podcast dedicato alla chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia, in generale.

I tempi in cui Guglielmo si dedica alla dipintura della cappella possono corrispondere alla seconda parte della sua permanenza a Milano, verso l’epilogo, tra il 1618 ed il 1619.

La vastità della superficie dipinta considerando sia la cappella della Natività che la sagrestia, oltre a tutti gli altri impegni affrontati negli stessi anni, devono avere costretto il pittore di Moncalvo a riprendere i lavori in più fasi.

In quegli anni Guglielmo ha espresso il meglio del proprio repertorio sia per qualità che per intensità. La presenza per lungo tempo in cima alle impalcature, lo devono avere sottoposto ad enormi sacrifici fisici che poi hanno richiesto il conto negli a venire.

Al momento del suo ritorno in patria alla fine del 1619, infatti la salute deve avergli fatto difetto, tanto da costringerlo a lavori più di routine affidandosi per lo più alla bottega ed a qualche collaboratore, tra tutti Giorgio Alberini.

Consideriamo anche che con il ritorno definitivo a Moncalvo, nel 1620 anche la prediletta figlia pittrice Theodora, lo abbandona per seguire le sorti delle sorelle ed entrare nel monastero delle Orsoline di Bianzè, con il nome di suor Orsola.

Per concludere questo lavoro dedicato alla cappella della Natività della chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia, affrescata da Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, occorre precisare che il complesso decorativo deve avere sofferto moltissimo per i danneggiamenti della grande cupola centrale, che hanno costretto i barnabiti alla sua demolizione ed alla conseguente ricostruzione. Per molto tempo, sicuramente anni, gli affreschi a differenza dei dipinti su tela, facilmente trasportabili, devono avere subito le ingiurie del clima. Forse questo fattore può spiegare lo stato di cattiva conservazione di alcuni brani, come quello del catino con il Circolo degli Angeli Musicanti.