Giuseppe Vermiglio. Il mistero di un grande artista.

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Giuseppe Vermiglio. Il mistero di un grande artista.

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Giuseppe Vermiglio (Alessandria? 1587 – Torino? post 1635)

Nasce con tutta probabilità in una città piemontese inserita al tempo nel ducato di Milano. Alessandria o Novara sono le maggiori indiziate.

Luigi Lanzi nel 1796, lo definisce di scuola piemontese anche se nel Daniele nella fossa dei leoni, della Pinacoteca Ambrosiana, si firma mediolanensis. Sembra più difficile attribuirgli una nascita torinese o addirittura milanese in senso stretto.

Nella documentazione d’archivio delle vicende processuali romane, non emergono notizie particolarmente interessanti, a parte il nome del padre, Pietro e la sua provenienza definita genericamente milanese.

Uno stato delle anime dell’anagrafe di San Pietro in Campo Lodigiano a Milano, lo indica nel 1631, dell’età di quarantaquattro anni. Deve essere nato quindi nel 1587 circa.

Il primo documento noto del 1604, lo descrive presente a Roma come inserito nella bottega del pittore di origine perugina di Adriano Monteleone. 

Appare evidente quindi che all’età di diciassette anni fosse già inserito stabilmente nell’ambiente artistico romano, anche se non se ne conosce precisamente la data in cui è arrivato nella città eterna..

La bottega del Monteleone non era ubicata molto lontana da quella di uno dei più importanti propugnatori dello stile tardo manierista a Roma. Giuseppe Cesari detto Il Cavalier d’Arpino.

Sono però gli stessi anni in cui sulle sponde del Tevere si muove con grande risonanza, il più rivoluzionario dei pittori dell’epoca, il Caravaggio.

E’ proprio quest’ultimo ad influenzare il Vermiglio per tutta la sua lunga permanenza a Roma ed anche nel proseguo della carriera.

Il Monteleone dalla sua bottega esercita anche la professione di mercante, per cui le relazioni con l’intera comunità pittorica non deve essere stata complicata.

A documentare il percorso di Giuseppe Vermiglio più che le opere realizzate per celebri committenti, sono in realtà le testimonianze di una condotta di vita sregolata, sempre a rischio di provvedimenti emanati dalla giustizia capitolina. Anche in questo, evidentemente si rifà al collega Caravaggio, vero maestro in duelli, risse, ubriacature, possesso di armi senza permesso.

La notte del 22 giugno 1605, Vermiglio viene arrestato per girare con la spada senza autorizzazione alcuna.

L’anno successivo viene sorpreso in compagnia di alcuni amici, a provocare una rissa ai danni del personale di cucina del cardinale Giovanni Dolfin. Diversi episodi simili mostrano quindi il Vermiglio impegnato, oltre che a lavorare di pittura, a scorrazzare liberamente per le vie di Roma con propositi bellicosi.

Quasi contemporaneamente ad uno dei suoi numerosi processi a cui è chiamato come imputato, assurge a chiara fama per la sua prima opera pubblica. Si tratta della Incredulità di San Tommaso per la chiesa di San Tommaso ai Cenci, firmata e datata 1612.

Dalle ricognizioni caravaggesche di Roberto Longhi di inizio Novecento, l’opera è stata a lungo considerata come l’unica nel repertorio romano del pittore. Le novità del Caravaggio, morto solo due anni prima, vengono accolte nella gestualità evidente e decisa di Gesù, che guida la mano dell’incredulo Tommaso. Le teste sembrano invece accordarsi con i modi di Annibale Carracci o forse più arditamente con quelli di Guido Reni

Dalle note che compaiono sul dipinto si apprende che la tela è stata commissionata dal parroco Onorato Rebaudi, originario di Pigna, piccolo borgo, sopra Ventimiglia, in Liguria. I legami con l’ambiente ligure perdureranno anche successivamente all’abbandono di Roma da parte del pittore. 

Una Tela del vermiglio oggi ritenuta perduta, è stata collocata nel Santuario della Madonna del Passoscio, sempre nel comune di Pigna.

Nella chiesa di Sant’Antonio a Dolceacqua, Giuseppe Vermiglio lascia una tela dedicata a Sant’Antonio Abate, ancora oggi in loco.

Nel 1633 insieme al pittore, alla moglie ed un apprendista di quattordici anni, risulta presente nella stessa unità famigliare un garzone ventenne, Giovan Battista Grillo, proveniente sempre da Pigna.

Il pittore è attestato nel 1619, come abitante a Roma nella parrocchia di San Lorenzo in Lucina in coabitazione con un altro pittore definito Hierolamo pitore.

Nella primavera del 1621 il Vermiglio è già a Milano in quanto contrae matrimonio con Violante Zerbi, quindicenne figlia del notaio Castorio.

La complessa produzione di carattere caravaggesca, realizzata dal pittore nel corso del tempo, può basarsi soprattutto sul prototipo del Sacrificio di Isacco, dipinto dal Caravaggio per Maffeo Barberini, sicuramente assai noto e studiato. Il soggetto è ripreso e riproposto in diversi formati e varianti, nel corso di tutta la carriera.

Agganciato al dipinto esiste uno studio della Testa di Abramo, accompagnato dall’iscrizione Del cavalier Vermiglio maestro di Daniele Crespi.

Altro dipinto romano è l’Incoronazione di spine oggi nel Palazzo Altieri.

Opera desunta direttamente dall’Incoronazione di spine del Caravaggio, un tempo nella collezione del marchese Vincenzo Giustiniani, oggi conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Sempre per il nobile genovese il Vermiglio, questa volta di sua completa invenzione, licenzia la tela della Moltiplicazione dei pani e dei pesci, pervenuta al Kaiser-Friedrich Museum di Vienna ed andata distrutta da i bombardamenti della seconda guerra mondiale, oggi nota per l’esistenza di una fotografia.

Altro tema ripetuto almeno due volte dal Vermiglio è la Negazione di Pietro, il primo depositato nella Galleria di Belle Arti Tadini di Lovere in provincia di Bergamo e la seconda in collezione privata a Lugano.

L’originale il Caravaggio lo ha realizzato a Napoli e quindi transita nel 1613 tra le mani dei pittori Luca Ciamberlano e Guido Reni. Oggi l’opera si trova al Metropolitan Museum of Art di New York.

Anche Il San Giovanni del pittore milanese, giunto a Roma nella collezione Borghese nel 1612, ha rappresentato un tema consueto per il pennello del Vermiglio.

Altra tela che il più giovane artista deve avere osservato nella collezione Borghese è quella del David con la testa di Golia. Si conoscono almeno cinque versioni redatte di sua mano. Quattro in collezioni private ed una, probabilmente gestita con l’aiuto della bottega, oggi visibile nella Pinacoteca Ambrosiana.

Per quanto riguarda la Cattura di Cristo del Caravaggio oggi alla National Gallery in Irlanda, il bellissimo adeguamento del Vermiglio è andato perduto e noto solo per una fotografia.

L’opera meglio riuscita comunque nelle rivisitazioni caravaggesche può considerarsi la Giuditta decapita Oloferne, vero e proprio omaggio all’arte del celebre predecessore, tanto da essere acquisita dal banchiere Ottavio Costa ed oggi visibile a Palazzo Barberini.

Il nutrito numero di copie esatte o di opere di diretta ispirazione, prese dal repertorio ancora recente del Caravaggio a Roma, fanno ritenere che Giuseppe Vermiglio si sia prestato a lungo a dipingere tale genere. Per questo motivo era autorizzato a frequentare le collezioni in cui erano al tempo custodite.

Il mercato dell’arte e delle copie era una attività piuttosto redditizia, ed anche artisti importanti si prestavano a tale esercizio, come per esempio lo stesso Guido Reni, per fare un nome.

A prova di ciò nella collezione Altemps erano conservate una serie di disegni con Teste di uomini illustri del Vermiglio, genere che insieme a quello delle Sibille, era molto praticato nelle varie botteghe, compresa quella del Monteleone, a cui si dedicavano proprio i copisti.

Nella Roma del secondo decennio del secolo, il pittore deve consolidare il proprio stato professionale, come prova la presenza all’Accademia di San Luca, nel verbale del 26 novembre 1617.

Meno di un mese dopo il Vermiglio viene pagato per avere dipinto Quattro santi sulla facciata di una casa in piazza di Sciarra, voluti dalla confraternita dei Bergamaschi ed oggi andati perduti.

Nella sala capitolare dei Borghese sono individuabili ancora oggi dei Santi dipinti per la confraternita.

L’attività di copista mette in rilievo anche il Vermiglio come mercante. Documentato è il rapporto con Piero Guicciardini, ambasciatore del Granduca di Toscana, per il quale risulta intermediario nell’acquisto di due Paesaggi di Filippo Napoletano.

Ad un certo punto della sua vita Giuseppe Vermiglio si trasferisce in patria.

La decisione viene presa probabilmente per la sensazione del mutare dei tempi, delle mode e dei gusti, ed anche forse per il desiderio di stabilità ed il proposito di mettere su famiglia. Forse anche pittoricamente avverte di potere offrire il suo contributo in una Milano, ancora attardata ai modi della tradizione pittorica manierista e contro riformata.

Ancora una volta non è un azzardo considerare l’arcivescovo di Milano, Federico Borromeo, come il regista dell’operazione di trasferimento con la sua Accademia Ambrosiana, sempre alla ricerca di nuovi stimoli figurativi.

Guarda caso l’Accaemia apre i battenti nel 1621, lo stesso anno del trasferimento del pittore in città. 

Defilati nel caso del Vermiglio sembrano apparire i padri barnabiti ed in particolare modo Lorenzo Binago, coinvolto nei primi anni all’erezione della cupola in Sant’Alessandro, che darà in seguito seri problemi di stabilità.

Il pittore che nel territorio del ducato aveva visto i natali, forse addirittura nella Milano stessa, intraprende una fiorente attività che rivolge lo sguardo in due precise direzioni.

Le richieste degli ordini religiosi con cui deve sottostare alle istanze ed alle moderazioni sceniche, attenendosi rigidamente ai dettami post tridentini e quelle delle committenze private, le quali gli consentono una maggiore libertà e di osare in senso degli aggiornamenti caravaggeschi. .

Poco dopo il suo arrivo nella città dei navigli viene coinvolto dai canonici lateranensi per i quali esegue la serie di sette Tele con le Storie di San Innocenzo, oggi conservate nel duomo di Tortona.

Il ciclo pittorico databile dopo il mese di agosto del 1621, è originariamente destinato all’altare di Ambrogio Opzione, presso la chiesa di Santo Stefano a Milano.

Nello stesso arco temporale Giuseppe Vermiglio si adopera per la sede di Novara della stessa congregazione. Esegue l’Adorazione dei pastori e l’Ultima cena, oggi conservate rispettivamente nella Pinacoteca di Brera e nel Museo Diocesano. Entrambe le tele sono datate 1622.

Nei mesi successivi il pittore viene ancora coinvolto nel lavoro più impegnativo richiesto sempre dall’ordine lateranense, questa volta nella propria sede della chiesa di Santa Maria della Passione. L’abate Celso Dugnani, a capo della congregazione fino al 1624, è il regista dell’operazione tanto da essere rappresentato dall’artista in un notevole ritratto.

A queste date può ricondursi lo splendido Gesù che dona il mantello a San Martino, realizzato per la chiesa di San Vittore al Corpo.

Sono concepite quindi le seguenti opere: Esequie di San Tommaso Becket datata 1625 ed ancora oggi visibile in loco, Daniele nella fossa dei Leoni, oggi alla Pinacota di Brera la Samaritana al pozzo, nella Galleria Sabauda, ma in origine esposta nella sede alessandrina dei canonici, la chiesa di Santa Maria di Castello.

Altro ordine religioso vicino al pittore è quello dei certosini presenti nella Certosa di Pavia, in cui lavora a partire dal 1627, data che si legge sulla tela San Bruno in estasi. I religiosi gli commissionano con il concorso attivo della bottega opere oltre che per la sede pavese, per quella di San Colombano al Lambro e per la chiesa di Santa Croce a Mantova.

La attività di Giuseppe Vermiglio appare strettamente legata ad un altro grande protagonista  della pittura milanese, Daniele Crespi. I due artisti condividono il registro comunicativo, la ricerca per la pittura chiara nell’esposizione e smaltata nel timbro estetico, raffinata ed elegante. Guardano in una sorte di ritorno all’ordine alla pittura piemontese di inizio Cinquecento di Gaudenzio Ferrari e di Defendente Ferrari. Quest’ultimo in particolare esprime le medesime esigenze estetiche.

L’esposizione scenica semplice e didascalica è anche quanto propugnato da tempo, dall’arcivescovo Federico Borromeo  che nel 1621 apre non a caso la sua Accademia Ambrosiana .

Come già espresso in precedenza, a conferma dello stretto rapporto, esiste uno studio della Testa di Abramo che riporta l’iscrizione per cui il cavaliere Vermiglio è maestro di Daniele Crespi.

Per quanto riguarda la produzione da cavalletto, rivolta ad una committenza  privata ed altolocata, Vermiglio trova una formula che partendo dalle tematiche caravaggesche giunge ad una evocazione della scena pacata e raddolcita, elaborando in un processo di normalizzazione che gli permette di inventare nuove formule iconografiche molto riuscite.

Si tratta della tela  Giaele e Sisara e di quella di Giuditta ed Oloferne, conservate alla Pinacoteca Ambrosiana e del San Sebastiano delle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco.

Nel 1930 il Vermiglio è documentato per un certo periodo ad Abbiategrasso, in quarantena per la peste che ha condotto alla morte, nel mese di luglio, il suo compagno di lavoro Daniele Crespi.

Nel 1634 si sposta prima ad Asti e poi nel 1635 a Torino al servizio dei Savoia, per cui dipinge un Figlio prodigo andato perduto.

La presenza a Torino nel 1635 è l’ultima notizia che si ha di Giuseppe Vermiglio, probabilmente scomparso poco tempo dopo.