Biancaro Giovanni Francesco detto Il Ruscone

Giovanni Francesco Biancaro detto Il Ruscone

(Trino 1546/1549 – 1588)

Giovanni Francesco Biancaro, giunge a Nizza della Paglia, da Trino nel vercellese.

La città di Nizza nel corso del primo quarto del Cinquecento, come molti altri territori italiani, subisce l’attacco della peste, la quale miete moltissime vite, facendo piombare gli scampati negli stenti e contemporaneamente nella necessità di risollevarsi invocando l’aiuto di Dio. Vengono eretti una quantità notevole di cappelle, oratori e chiese, dedicate ai santi taumaturgi come San Sebastiano, San Rocco, San Carlo, San Defendente, Santa Rosalia e Sant’Antonio Abate. 

La ritrovata floridezza di Nizza della Paglia nella seconda metà del secolo, si evince dal numero di notai che vi rogano. 

Mons. Pozzevino della Compagnia del Gesù nel 1594, in una relazione descrive la città come “un luogo popoloso e ricco, di circa quattromila abitanti, ubertoso e alla mercatura soltanto dedito e per cui avvi un continuo passaggio de Lombardi, Ligori e Piemontesi. I giovani sono tuttavia malamente educati, essendo per lo più accostumati alle armi ed a maneggiare denaro. A stento ravvisasi in loro scintille di Religione”.

La presenza nel circondario ed in città di monasteri, conventi, chiese, oratori e cappelle ed in contemporanea l’esplosione dei commerci dovuti anche ai continui passaggi degli eserciti, richiamano a Nizza artisti e maestranze alla ricerca di commesse, lavoro e guadagno. 

Come già avvenuto anni prima a Gerolamo Borghi, pittore altamente dotato originario di Castelnuovo Scrivia, anche Giovanni Francesco Biancaro giunge nella città monferrina alla ricerca di affermazione, dopo un periodo di apprendistato presso il pittore trinese Ottaviano Cane.  

Il contratto di alunnato tra il Cane e il Biancaro, viene stipulato il 12 giugno 1563 direttamente dal padre Giovanni Pietro detto il Ruscone, e prevede un periodo a bottega di quattro anni. Nei primi tre anni, entro il mese di luglio, il padre si impegna a consegnare alla controparte, tre sacchi di frumento per il sostentamento del giovane. Il maestro invece, si sarebbe occupato della istruzione artistica per tutto il periodo e di nutrirlo a sue spese per l’ultimo anno, presupponendo che a tale data l’alunno sarebbe già stato in grado di pagare il vitto con il proprio lavoro.

In considerazione della data di stipula del contratto con cui il giovane Biancaro si impegna in bottega e l’età presumibile tra i quattordici ed i diciotto anni, si può considerare il pittore nato intorno agli anni 1546/1549.

A Nizza il pittore si stabilisce con tutta probabilità a seguito del matrimonio contratto l’1 luglio 1573 e che fa seguito al decesso del padre. Il contratto nunziale vede Giovanni Francesco Biancaro ed Isabella Franceschino detta Bellina, vedova del nobile Ettore Grasso di Nizza. La donna si sposa con il pittore in seconde nozze e apporta una piccola dote particolarmente importante visto che i primi tempi per i due coniugi devono essere particolarmente faticosi. I coniugi hanno una figlia di nome Anna di cui non si conosce la data esatta di nascita. 

Quindi sicuramente dall’autunno del 1573 Giovanni Francesco Biancaro, può avviare la sua bottega a Nizza della Paglia. 

Oltre ad essere pittore ha appreso sicuramente la capacità di lavorare e decorare il legno per piccoli manufatti e di intagliare le tavole per la realizzazione di cornici. 

In data 12 novembre 1576, prende in prestito una giacca di maglia, impegnandosi a restituirla entro un mese. Per il valore del bene presta fideiussione a garanzia la stessa moglie Bellina. 

Questo documento fa comprendere come il pittore abbia uno o più lavori in corso e che quindi è piuttosto attivo con la sua bottega. La giacca di maglia viene infatti utilizzata per rappresentare uno degli uomini in arme, tipico di una scena pittorica militare di carattere medievale.

Al 25 gennaio del 1575 vanno ricondotti gli accordi tra il pittore e la Compagnia della Madonna di Melazzo per la produzione di uno stendardo con la Madonna e due angeli dipinti in ambo le facciate. Nel documento sono descritti i dettagli ed i modi di realizzazione. 

La prima opera datata con certezza è la Madonna con il Bambino in trono con angeli tra i Santi Stefano e Sebastiano ed oggi conservata nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano a Castelnuovo Calcea.  Sul cartiglio in basso nella tela  si legge infatti 1575. 

La particolare qualità della pala, la giusta composizione ed il perfetto equilibrio cromatico ed anche una certa ricercatezza tecnica, come l’acqua dell’ampolla in mano al putto, accanto ad una evidente considerazione della pittura prima gaudenziana e poi vercellese, fanno ritenere che il lavoro sia stato realizzato con la vicinanza fattiva del Maestro Ottaviano Cane. 

L’ipotesi è avvalorata oltre che dalla  precocità della data, 1575, anche da un certo mutamento della pittura in epoca successiva da parte del Biancaro che evidentemente rimasto solo, non riesce a ripetersi nella qualità formale e compositiva, forse anche perché impegnato nell’attività parallela di carpentiere in legno. 

Solo dell’anno successivo, il 1576 è il dipinto con la Natività con i Santi Giovanni Battista, Lorenzo e donatori. 

La tela custodita oggi nella chiesa di Sant’Antonio Abate ad Incisa Scapaccino, riporta, straordinariamente per l’epoca, la firma e la data bene espressi nella parte mediana della scena alle spalle del San Lorenzo:

IO’ FRANCISCHUS / BLANCARIUS TRIDIN / FACIEBAT / 1576 

Il meglio di sé il Biancaro lo riversa nel respiro prospettico e nella profondità del paesaggio che si delinea alle spalle dei protagonisti. Un pastore con delle pecore e due minuscoli cavalieri sembrano avvicinarsi tranquillamente, mentre in lontananza si stagliano dei monti brulli ed una città ricca di guglie. Paesaggio tipico della pianura piemontese ai piedi delle Alpi. Al di sopra tre angeli sulle nuvole reggono un cartiglio con la scritta: Excelsis deo et in gloria in terra pax, e si muovono in uno spazio pittorico finalmente libero da oppressioni. 

Discorso a parte lo merita la cornice che il restauro ha rivelato nella sua eccelsa qualità con il cesello fitomorfo che si dipana nell’intero perimetro, purtroppo privato di una parte nel lato inferiore. 

L’adesione alla controriforma sembra la prima considerazione a cui si attengono il committente ed il pittore. Giovanni Francesco Biancaro evidenzia l’attenzione per l’insieme a scapito della qualità della costruzione formale. Appare evidente che la sua formazione sia stata improntata ad una visione generale dell’arte figurativa, quasi a livello artigianale, in cui si esprime anche e meglio come ebanista nella realizzazione sapiente della cornice. Tuttavia la perizia tecnica si mostra ampiamente nel panneggio della veste della Madonna ed in quella del San Lorenzo. Mentre il San Giovanni Battista è rappresentato con un colorito funereo che profetizza la sua tragica fine e che viene riproposto nella figura del Bambino Gesù che ne seguirà le sorti. La scena pensata dal Biancaro doveva evidentemente comprendere originariamente la Sacra famiglia ed i due santi ai lati oltre allo spaccato architettonico e paesaggistico. 

Si presume che a partire dal 1577 le commissioni comincino a succedersi con buon ritmo. Il 22 gennaio del 1577 infatti ricorre l’atto notarile con cui l’artista si impegna nella Decorazione del palazzo del Conte Giovanni Thea, nella stessa Nizza della Paglia.

L’anno successivo, il 1578, i confratelli della compagnia di Sant’Agata della parrocchiale di San Giovanni Evangelista a Rosignano,  si accordano con il pittore per una ancona da sistemare sull’altare intitolato alla loro santa patrona. Secondo il documento si tratta di un trittico che deve contemplare la Madonna con il Bambino, Santa Agata e Sant’Anna, la Madonna al centro e le due sante ai lati. L’opera a cui il Biancaro deve costruire anche la struttura in legno intagliato non è nota e si può ritenere che il pittore non l’abbia effettivamente eseguita anche se ha a disposizione un anno di tempo.

In data 18 ottobre 1578 contrae nuovo contratto per la realizzazione di una ancona, raffigurante la Madonna con il Bambino, con la Compagnia della Beata Vergine nella parrocchiale di San Giacomo Maggiore ad Agliano. Al contratto segue un atto notarile stilato il 25 aprile 1579 in cui il pittore riceve il compenso di quattordici aurei e sette fiorini di Savoia, si impegna nel lavoro da compiere entro il mese di giugno e da rendere presso la chiesa di Agliano. La moglie Bellina presta nel documento la fideiussione, impegnando i proprio beni dotali. 

Risale sempre al 1579 un quadro dipinto ad olio su tela e fissato su tavole di legno dal  soggetto originale di Gesù morto e coricato sulle ginocchia di Maria ai piedi della Croce. Sulla base della tela è riportata la scritta FRANCISCUS BLANCARIUS TRIDINAS FACIEBAT 1579. L’opera risulta realizzata per la Cattedrale di Acqui ed in particolare per l’altare della cappella della Santa Croce, dopo il passaggio di Mons. Gerolamo Regazzoni, Vescovo di Bergamo, che durante la sua visita apostolica si raccomanda di ornarlo. 

La tela viene venduta l’11 novembre 1579 dal Capitolo della Cattedrale e dalla curia vescovile al fine di reperire dei fondi per il restauro. La giustificazione in calce al libro dei conti è oltre al cattivo stato di conservazione anche il presunto misero pregio dell’opera e del suo autore. Il quadro è acquistato dal falegname Alberto Ricci per conto di un certo Smeriglio,  il quale acconsente a versare quattrocentocinquanta lire e quindi finisce con tutta probabilità nella capitale sabauda. 

Il 9 febbraio 1580, il priore della Compagnia del Corpus Domini di Castelnuovo Incisa, affida a Giovanni Francesco Biancaro  la realizzazione di un Tabernacolo con colonne indorate e decorazioni dei capitelli con motivi vegetali e due delfini. 

Questo documento risulta particolarmente interessante in quanto mette in evidenza la capacità dell’artista di affrontare con grande perizia lavori di ebanisteria ed intaglio e decorazione del legno. 

Il 14 aprile sempre del 1580 i massari della Compagnia del Santissimo Rosario di Masio, richiedono al pittore una ancona con al centro la Assunzione della Vergine, il Padre eterno e la Natività di Maria.

Ancora l’1 dicembre 1580, gli agenti della Compagnia del Corpus Domini a Nizza, richiedono al Biancaro una Ancona da consegnarsi entro il mese di agosto dell’anno successivo. 

Con atto rogato il 29 marzo 1581 per la cappella di San Bernardino nella chiesa di San Francesco a Nizza, i priori della Compagnia del Corpus Domini incaricano il pittore per la  dipintura di un Tabernacolo acquistato in precedenza. 

Tutte le opere sopra descritte risultano scomparse nel corso dei secoli. Comunque almeno in parte devono essere state realizzate visto che nel 1582 la sua fama sembra consolidata e realizza una ulteriore opera, fortunatamente ancora presente ai giorni nostri.

L’8 gennaio del 1582 con atto apposito la nobildonna Viscontina Nasella, offre ai frati della chiesa di Santa Maria dei Carmelitani di Incisa, l’opera appositamente commissionata al Biancaro, avente per oggetto l’Annunciazione. La pala è firmata al centro sulla base del colonnato FRANCUS BLANCARIUS TRIDINAS F ed è realizzata con tre tavole messe in verticale che evidenziano la capacità ebanistica dell’artista. Il restauro ha riportato l’originale splendore anche nella cornice dorata, la quale era intrisa da sporco sedimentato. Manca la struttura lignea più esterna che alcune foto d’archivio evidenziano in stile classicheggiante con lesene a  motivi a candelabri.

A differenza dell’altra opera del Biancaro visibile oggi nella stessa chiesa di Sant’Antonio Abate ad Incisa, in questa tavola le figure sono misurate con il giusto respiro nella scena, anche se la collocazione nello spazio sembra indipendente dalla scenografia appositamente creata. L’artista, ancora una volta concede la massima importanza al tema richiesto, all’evidenza della descrizione e della semplicità della lettura e quindi all’entrata sulla scena dei due protagonisti a discapito della loro perfetta integrazione pittorica. La quinta teatrale dei colonnati e del baldacchino e l’invenzione tridimensionale del leggio reggono bene l’impianto, tanto da fare pensare di essere stati realizzati in precedenza al resto della composizione. La figura dell’Arcangelo sembra allungarsi verso l’alto in mancanza di proporzione, fino allo sviluppo della testa troppo minuta nei confronti del corpo forse per non sfigurare nei confronti di quella della Vergine. La Vergine invece, nonostante la sensazione di fluttuazione nello spazio, appare di ottima costruzione con il viso delicatamente declinato da un lato ancora nella direzione del libro aperto e scompaginato. 

Il manto e la veste sono realizzati con sapienza plastica, tipica dell’intagliatore del legno e le stelline in oro sono distribuite regolarmente senza tenere assolutamente conto delle pieghe dell’abito, riprendendo la sontuosità della decorazione della cornice.  

In alto il Padre benedicente squarcia le nuvole nel cielo, circondato da un nugolo di angioletti volanti o rappresentati con le sole testoline. 

La colomba dello Spirito Santo invece viene rappresentata curiosamente in picchiata come un falco pellegrino.

Il Sant’Antonio con il giglio e l’iscrizione in basso è un inserimento  tardo realizzato su di un fondo di preparazione rosso. A differenza dell’altra pala  presente nella stessa chiesa si è voluto mantenere la figura non prevista originariamente perché si è ritenuto che non pregiudicasse l’insieme. Il Sant’Antonio appare invece assolutamente incongruente anche alla descrizione biblica della scena. Inoltre la sua posizione con le mani e le dita in atteggiamento maniacale, non sembrano di invenzione particolarmente felice. Come risulta infine dall’atto originario, il Sant’Antonio nasconde la figura della donatrice. Essa si pensata e voluta fin dalla progettazione originale.

Il 17 maggio 1582 i priori della Compagnia della Beata Vergine degli Angeli di Acqui, si accordano con il pittore per la realizzazione di una ancona che il Maestro Paolo Gotto aveva già iniziato a dipingere secondo le clausole stipulate. 

Anche il Biancaro evidentemente non sviluppa il progetto figurativo se, come probabile, la pala è individuabile nella Adorazione dei Magi visibile nella chiesa di San Francesco ad Acqui, portata a termine definitivamente dall’alessandrino Raffaele Angelo Solari, fratello del più dotato Giorgio.

Ancora il 12 gennaio 1583, i rettori della Compagnia del Corpus Domini della parrocchiale di Castelnuovo Calcea richiedono al Biancaro la realizzazione di un Tabernacolo ove riporre il Santissimo.

Nell’ultima tempo della permanenza a Nizza del Biancaro a ridosso del 1585 circa, va situata l’importante tela con la Madonna con il Bambino in gloria, San Sebastiano e Sant’Antonio Abate, già assegnata ad artista di ambito ligure, oggi presente nella Chiesa di Sant’Antonio Abate ad Incisa Scapaccino. 

Accanto ad elementi tipici, come il taglio degli occhi dei personaggi, il nimbo di San Sebastiano, il volto della Vergine, il colore rosso e la forma della testa del putto sotto i piedi della Madonna e soprattutto lo sfondo panoramico con la città, forse la stessa Incisa, che si staglia da un fondo indistinto ed omogeneo identico alla pala della Natività, compaiono elementi nuovi estranei al sentire del Biancaro che possono suggerire il timido inserimento del pennello del giovanissimo Guglielmo Caccia, apprendista di bottega. Sono ammissibili a tale ipotesi i due putti in alto, il corpo del Bambino, in particolare la testa e le sagome dei due santi comprese le mani. 

Si può ritenere che la pala sia stata co-prodotta nella bottega di Nizza della Paglia in un tempo appena precedente alla dipartita del Maestro in direzione di Trino. Le due tavolette con San Rocco e Sant’Antonio Abate, inserite probabilmente nello stesso contratto di commissione, sono da datarsi in epoca appena successiva intorno al 1588.

Le due tavolette, oggi scomparse, potrebbero essere state realizzate dal pittore di Montabone in autonomia con il bene placido del Biancaro, impegnato in altre avventure e comunque già fiducioso nell’arte dell’allievo. Si può pensare ad una produzione in proprio o con la collaborazione della bottega di Ambrogio Oliva.

La città natale di Trino, dopo la scomparsa di Ottaviano Cane diviene nuovo territorio di conquista per il Biancaro che nel marzo del 1585 si propone alla Compagnia degli Apostoli e del  Sacratissimo Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, per la produzione di un Tabernacolo da porre sull’altare maggiore della chiesa di San Bartolomeo.

L’8 luglio del 1585 a Pontestura viene rogato l’atto notarile con cui il pittore si impegna a produrre, per la Compagnia della Beata Vergine, un gonfalone con la migliore tela di lino presente sul mercato di Casale con la riproduzione in ambo i lati come da disegno presentato della Madonna del Rosario e quindici Misteri.

Per la Compagnia della Santissima Croce di Fontanetto Po, il 7 novembre 1585 il Biancaro si impegna per la fattura di un Crocifisso dipinto con colori veri, ancora oggi visibile nella Chiesa di San Martino. Il Cristo frontale è di forma arcaicizzante con le costole in rilievo ed un grumo di sangue che cola dal costato. I fianchi sono cinti da un drappo dorato annodato sulla sinistra. Nel corso di un restauro avvenuto nel 1894 ai lati della Croce sono stati aggiunti quattro pannelli con scene della Passione residui dell’antico altare maggiore della chiesa. 

Il 1 aprile 1587 Giovanni Francesco Biancaro accetta una importante commessa stipulata nel Monastero di Santa Maria di Vignale, alla presenza degli agenti della Compagnia del Santissimo Corpo di Nostro Signore Gesù, eretta nella Chiesa parrocchiale. Si tratta di un Tabernacolo con come cimasa il Cristo resuscitato ed altre dodici statue come decorazioni oltre a rilievi scolpiti come da disegni prodotti dall’artista. L’opera forse la ultima realizzata dal Biancaro secondo il contratto doveva essere consegnata entro la Pasqua del 1588.

Nell’atto viene stabilito anche che il vecchio Tabernacolo, sempre realizzato tempo prima dallo stesso artista, possa essere ritirato a sua cura e possa disporne secondo sua volontà. 

Nella primavera del 1588 contribuisce alle decorazione per gli apparati effimeri di porta Baffa a Trino, in occasione dell’ingresso del Duca del Monferrato. 

I lavori svolti in compagnia di Ambrogio Oliva e di Raffaele Giovenone costituiranno l’ultima presenza di carattere artistico del Biancaro che fa testamento il 10 maggio 1588 e muore il giorno dopo l’11 maggio 1588, con tutta probabilità nemmeno quarantenne, lasciando la figlia Anna erede universale e qualche debito da saldare. 

La morte precoce di Giovanni Francesco Biancaro induce a pensare che fosse stato colpito da tempo da una malattia importante che però gli lasciasse la facoltà di lavorare. Forse proprio la malattia incipiente è la causa che va ricercata nel suo ritorno a Trino nella primavera del 1585. 

Opere di questo artista: