Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo – La fuga da Moncalvo per la prima guerra del Monferrato ed il periodo milanese (Pc7)

Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo – La cappella della Natività nella chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia a Milano (Pc4)
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Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo – La sagrestia della chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia (Pc5)
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Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo – La fuga da Moncalvo per la prima guerra del Monferrato ed il periodo milanese (Pc7)

GUGLIELMO CACCIA DETTO IL MONCALVO

LA FUGA DA MONCALVO PER LA PRIMA GUERRA DEL MONFERRATO ED IL PERIODO MILANESE

Guglielmo Caccia si trova certamente a Milano con continuità dal 1615 al 1619. Alla base del suo trasferimento c’è un evento che ha sconvolto il territorio del basso Piemonte a partire dal 1613. La prima guerra del Monferrato che si sviluppa dal 1613 appunto, fino al 1618 ed anticipa la guerra dei trent’anni che durerà dal 1618 fino al 1648 e che vedrà coinvolta mezza Europa.

Il conflitto scaturisce da conflitti dinastici e precisamente per il dominio del piccolo ducato del Monferrato, il quale riveste una grande importanza dal punto di vista strategico e geografico per l’epoca.

Il duca di Savoia Carlo Emanuele I, ritiene di vantare dei diritti sul ducato, avendo concesso la propria figlia Margherita in sposa al principe di Mantova, futuro duca Francesco IV Gonzaga. Il quale però nello stesso anno in cui succede al trono dopo la morte del padre Vincenzo I, si spegne a causa di un attacco di vaiolo. Una volta lasciata vacante la reggenza del ducato di Mantova che comprende i titoli anche di quello del Monferrato, la moglie Margherita di Savoia viene allontanata da Mantova, in una sorta di esilio coercitivo,  mentre la piccola figlia della coppia Maria, è segregata nel monastero delle Orsoline di Mantova.

Per Carlo Emanuele I tutto ciò rappresenta un motivo sufficiente per schierare il proprio esercito e marciare sul Monferrato. Conquista in rapida successione Alba, Moncalvo e Trino, in attesa di occupare Nizza della Paglia e di sferrare l’attacco decisivo alla capitale Casale.

Gli avvenimenti sconvolgono i territori a sud del Po. Dove passa l’esercito arriva distruzione, morte e fame. Moncalvo subisce un terribile assedio che mina la fiducia degli abitanti per il futuro.

Nella piccola cittadina il pittore Guglielmo Caccia conduce da tempo una fiorente bottega pittorica con l’aiuto di alcuni collaboratori e soprattutto della giovane figlia Theodora, dotata pittrice che segue le orme del padre.

In considerazione della situazione di Moncalvo sempre in bilico tra il dominio savoiardo e le invasioni spagnole proveniente da Milano, il pittore decide di fuggire in un luogo più tranquillo per se e la moglie e per i numerosi figli, quasi tutte femmine in giovane età.

Secondo un documento ritrovato, il governatore di Casale, Vincenzo Gonzaga gli offre ospitalità nella cittadella difesa dalle massicce fortificazioni. Guglielmo però in definitiva opta per allontanarsi del tutto dal ducato, cercando ospitalità in luoghi che possano anche rappresentare una fonte di lavoro. A maturare tale decisione può avere contribuito  l’ottimo rapporto instaurata da tempo con il duca di Savoia ed il suo entourage. Il pittore infatti era stato a lungo a servizio del duca a Torino. Dal 1604 fino almeno al 1607. Nel 1604 era stato chiamato per la decorazione del palazzo del Viboccone e quindi al lungo lavoro della Grande Galleria Ducale, sotto la guida di Federico Zuccari.

Casale capitale del ducato, nell’ottica savoiarda doveva rappresentare un obiettivo certo a cui non si poteva rinunciare.

Guglielmo con la moglie ed i figli si mette in viaggio per Novara, già in territorio ducale milanese. Prima però i coniugi pensano di affidare due delle figlie al monastero delle Orsoline di Bianzè. Si tratta di Margherita, nata nel 1595, la quale assume il nome di suor Laura Margherita e di Laura, che nata nel 1598 prende il nome di suor Rosalba.

Viene sottratta nell’ordine cronologico di nascita Theodora, nata nel 1596, in quanto al tempo diciassettenne ed indispensabile nel coadiuvare il padre nei lavori futuri della bottega.

Tutti gli altri figli, escluso il primogenito Gerolamo che all’epoca è già maggiorenne, seguono i genitori nel trasferimento.

Con tutta probabilità si sistemano a Novara già alla fine del 1613.

Chiaro segnale dello stato d’animo del pittore e della sua assenza da Moncalvo è il documento datato 20 febbraio 1614  con cui da mandato al cognato Raffaele Angelo Oliva di locare in tutto o in parte la casa.

Gli affida inoltre, in qualità di procuratore, il compito di acquistare per non oltre 350 scudi la casa denominata “dei Carelli”. L’operazione va in porto per 300 scudi in data 15 settembre 1614 e vede Cesare Zonca come testimone. Allo stesso fidato pittore collaboratore, in un atto senza data, viene affidata la procura per l’affitto della casa, in sostituzione del cognato.

Nella prima parte del 1614 Guglielmo è impegnato nella chiesa di San Marco dove oltre al ciclo a fresco licenzia anche quattro tele ancora oggi visibili in loco. La Processione di San Carlo con la reliquia del santo chiodo, L’Arcangelo, Il Martirio di Santa Frebronia, Santa Monaca orante. Anche la Deposizione per la chiesa di San Gaudenzio sempre a Novara, è riconducibile a questo periodo.

I tempi relativi alla progettazione della cappella di San Carlo Borromeo nella chiesa di San Marco a Novara, sono documentate da una serie di lettere del committente, il vescovo barnabita Carlo Bascapè.

Per la campagna decorativa inizialmente viene contattato il Cerano, Giovanni Battista Crespi detto il Cerano (Romagnano Sesia 1573 – Milano 1632), il quale però impegnato su molti cantieri milanesi, non può rispettare l’impegno novarese. Su consiglio di Lorenzo Binago padre barnabita, architetto e responsabile dei cantieri dell’ordine, tra i quali Sant’Alessandro in Zebedia, la scelta cade su Guglielmo Caccia.

Il pittore svolge probabilmente il primo sopralluogo nella tarda primavera del 1614 e quindi nel novembre dello stesso anno i lavori sembrano vicini al compimento, come risulta da una ulteriore lettera. Con questa opera Guglielmo deve seguire le precise indicazioni del committente Carlo Bascapè, il quale è l’estensore della prima monumentale biografia dedicata a San Carlo, stampata nel 1592.

La scena voluta dal vescovo si sviluppa in tondo e descrive la processione svoltasi durante la peste del 1576. Il successo iconografico del soggetto è dovuto al grande quadro dipinto da Giovanni Battista Della Rovere “Il Domenichino”, per il Duomo di Milano. Carlo Bascapè prima di essere vescovo era collaboratore e consigliere di Carlo Borromeo, da cui poi prederà il nome in suo onore. Al tempo il giovane prelato viene inviato a Madrid per una difficile missione conclusasi felicemente. Al suo ritorno prende lo spunto per istituire in San Barnaba la processione del Venerdì Santo, imitando l’”Entierro spagnolo”. Cerimonia devozionale che si estende per tutta Milano, in cui al lume di torce i fedeli portano statue rappresentanti la passione, cantano inni e salmi penitenziali.

Nel dipinto di Guglielmo, San Carlo regge la Croce rivelando con il suo sguardo la commozione che sta provando. In lontananza i fedeli, forse la testa della processione, entrano nella basilica di milanese di Santa Maria Maggiore, demolita alla fine del Seicento per il procedere del cantiere della Fabbrica, ma che per due secoli svolse la funzione di facciata per il Duomo. Il vescovo di Novara viene citato in primo piano con un ritratto mentre guida in direzione del luogo in cui verrà tumulato, è il secondo personaggio davanti al santo. Il pittore sembra privato della sua autentica vena compositiva ed anche della classica tavolozza, in favore di una rappresentazione giocata su toni scuri ed omogenei.

Quasi ad equilibrare la figura del celebre vescovo, Guglielmo inserisce un singolare personaggio sulla destra abbigliato come un canonico, descritto in uno stato di forte coinvolgimento spirituale. Il viso smunto, la barba ed i cappelli di colore biondo tendente al rosso, sono elementi che potrebbero fare pensare all’esecuzione del proprio autoritratto. Un piccolo omaggio di devozione personale alla figura di San Carlo Borromeo.

Uno studio preparatorio realizzato per la Processione è conservato presso la Biblioteca Reale di Torino.

Terminati i lavori a fresco di Novara, Guglielmo con famiglia e bottega si dirige a Milano, dove giunge presumibilmente già nell’estate 1614.

Il primo impatto è con il caotico cantiere della chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia, proprio nel centro della città a pochi passi dalla fabbrica del duomo.

Il padre barnabita Lorenzo Binago lo accoglie ed immediatamente stipulano gli accordi per i lavori nella sagrestia del tempio. Altri contratti seguiranno in quegli anni ancora con i barnabiti ed anche con altri ordini religiosi.

Naturalmente i due si conoscono da tempo. I padri barnabiti gli hanno già commissionato a più riprese diverse opere. Proprio a cominciare dalla  chiesa di San Paolo a Casale, edificio progettato dall’architetto barnabita. Le opere hanno una probabile scansione temporale differente. A cominciare dal Martirio di San Matteo che può considerarsi realizzata tra il 1588 ed il 1589, quando Guglielmo è a Casale ospite nella bottega di Ambrogio Oliva. Nel 1589 stesso Guglielmo si sposa con Laura, figlia dell’Oliva.  Invece l’Assunta, le otto serie de Le Virtù, posizionate tra gli stucchi della volta, la Decollazione di San Paolo ed il San Matteo e l’Angelo,  si possono datare presumibilmente tra il 1610 ed il 1612, quando il pittore conduce l’attività con la bottega situata a Moncalvo.

Il grande dipinto dal titolo La conversione di san Paolo, sempre presente nella stessa chiesa è invece da attribuire a Giorgio Alberini. Fedele ed abile  collaboratore del Caccia.

Dal 1614 al 1619, quindi con una certa continuità Guglielmo Caccia opera a Milano. Si sposta per affrontare i cantieri a fresco soprattutto a Monza, a Pavia ed a Chieri.

A tale proposito è certo che il pittore abbia potuto contare su di una bottega stabile, magari nelle vicinanze della propria abitazione, nei pressi di Sant’Alessandro stesso, oppure dalle parti di via della Commenda dove sorge la chiesa di San Paolo e Barnaba, sede dell’ordine religioso.

Nella bottega Guglielmo può eseguire con la giusta tranquillità le opere che gli vengono comandate su supporto mobile, con l’aiuto di Theodora e di qualche  giovane apprendista locale. 

Come collaboratore le indagini si possono concentrare su Daniele Crespi che all’epoca ha una età approssimativa di quattordici anni. A testimoniare la vicinanza artistica ed umana tra i due un’opera di Daniele Crespi sarà custodita dal pittore di Moncalvo e trasmessa nell’asse ereditario, diversi anni dopo.

Dalla bottega di Milano prendono quindi il via su carro, le pale per le diverse destinazioni. Si conosce per certo che le opere in Santa Maria di Canepanova a Pavia arrivano direttamente dalla città ducale.

Non appare un azzardo ritenere che Guglielmo Caccia avesse potuto trovare ospitalità nella bottega già molto avviata di Camillo Procaccini, pittore molto importante e maggiore interprete, in quegli anni, delle tematiche post tridentini e quindi molto vicino ai padri barnabiti.

Nel 1609 infatti Camillo, visto il grande successo anche economico della sua attività di pittore, acquista una casa nella diocesi di San Calimero non troppo lontano dal centro città e dal Duomo, dove fervono i lavori della fabbrica.

Camillo infatti a cui è dedicato un apposito podcast, è anche l’autore di tre importanti pale presenti nella chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia.

A mostrare la possibilità di collaborazione ed interazione all’interno della bottega del Procaccini, in cui con tutta probabilità operano anche i due fratelli pittori, vi è il fatto che nell’agosto del 1629 Camillo muore, probabilmente per la peste. A rilevare la sua avviata bottega è proprio il collega Daniele Crespi, il quale a sua volta è impegnato in moltissimi lavori a Milano ed anche fuori dalla città. Purtroppo anche il Crespi muore dopo nemmeno un anno nel luglio del 1930, per essersi ammalato di peste. Questa volta con la puntuale descrizione da parte delle cronache del tempo.

A questo punto si può anche ritenere che Daniele Crespi fosse entrato come apprendista a bottega dal Procaccini, proprio intorno ai suoi quattordici anni che corrispondono grosso modo agli anni 1613/1614.

Quindi negli anni successici al 1620, quando si è ritenuto il giovane pittore ormai maturo ed autonomo per affrontare lavori in proprio, viene chiamato sempre per la chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia ad occuparsi dell’affresco con la Epifania nella contro facciata della sagrestia e della bellissima pala della Decollazione del Battista, per l’omonima cappella in fondo alla navata sinistra.

Di massima importanza è la figura del padre Lorenzo Binago nel rapporto con i molteplici pittori e per le relative committenze destinate alle diverse chiese. Proprio gli spostamenti per lavoro del padre barnabita possono fare luce e spiegare la presenza dei dipinti nei vari luoghi di culto.

Sempre nel 1614, per esempio, il Binago viene chiamato in qualità di consulente per l’erezione del pronao del duomo di Acqui.

Nel corso del biennio successivo trovano collocazione due pale del Caccia, provenienti quindi dalla bottega milanese. Si tratta del San Carlo Borromeo e di Sant’Orsola oggi visibile nel palazzo vescovile ed anche la pala con la Madonna ed il Bambino, San Carlo Borromeo e San Francesco, oggi presente nella chiesa di Santa Maria della Neve a Lussito.

La figura di Carlo Borromeo è indicativa della intermediazione barnabita della committenza, in quanto il Santo come già segnalato è stato molto vicino all’ordine ed addirittura officiante della consacrazione a sacerdote di padre Lorenzo Binago stesso.

Sempre i barnabiti nella figura del vescovo di Novara sono chiamati a vigilare sulla conformità dell’adesione ai moduli della controriforma da parte della grande basilica della Santissima Annunziata del Vastato di Genova. Ad officiare nel tempio sono i padri francescani, i quali non sembrano cosi attenti alle istanze promosse soprattuto da San Carlo Borromeo.

Infatti negli stessi anni arrivano alcune straordinarie pale.

Si tratta della Natività eseguita da Guglielmo Caccia e che probabilmente giunge anch’essa direttamente da Milano. L’opera di straordinario fascino vede una profusione di simbologie cristiane e la presenza di San Francesco, in omaggio all’ordine reggente nella basilica. Immediatamente al disopra della figura del santo si può osservare uno straordinario autoritratto del pittore stesso. Alla pala è dedicato un podcast.

Sempre da Milano giungono una splendida ed enorme Ultima Cena, realizzata da Giulio Cesare Procaccini e sistemata infelicemente in alto sulla contro facciata e la Beata Giovanna Francescana, dipinta da Daniele Crespi.